Data Trekking: 01-02/11/2014
quota partenza (m): 1849
quota vetta (m): 2921
dislivello complessivo (m): 1072

Accesso
Da Susa si segue la S.S.24 fino dopo Exilles, ai tornanti di Serre la Voute bivio a destra per le Grange della Valle, poi si segue il sentiero 544.

Strano, ma vero, un’altra partenza incasinata. Come se non fosse normale per noi, ormai è consuetudine. Il fatto che sia Halloween ci tocca davvero poco e tutte le feste in città non ci attirano molto.

Ci mettiamo la bellezza di una settimana per decidere quale bivacco assaltare, inizialmente senza tener conto di neve e dislivello, poi mettendoci un po’ di giudizio e valutando anche quelli. E l’ultimo cambiamento arriva il giorno prima, quando scopriamo che la strada per il bivacco Blais è un po’ troppo arrampicata, almeno per i nostri gusti.

Meglio non rischiare, anche vista la nostra capacità di preparare zaini compatti -vergognosamente pesanti!- e dirigerci verso qualcosa di accessibile, il bivacco Sigot.

Con solo un paio d’ore di ritardo ed il tramonto che incombe in poche ore, riusciamo, non senza difficoltà vista la strada dissestata, a raggiungere il parcheggio a Grange della Valle, nei pressi del rifugio.

sulla strada per il Bivacco Sigot

Ci mettiamo in marcia ed il vallone è già in ombra, ma visto il ghiaccio a terra è probabile che qui il sole non arrivi praticamente mai. Sistemati un po’ gli zaini con una leggera scorta d’acqua -siamo abbastanza sicuri di trovarla in alto e non c’è ragione al mondo per caricarsi di ulteriore peso- partiamo, e bastano qualche centinaio di metri per scontrarci con la prima difficoltà: l’acqua che scende in un ruscelletto attraversando il sentiero ha creato una lastra di ghiaccio che copre almeno due tornanti, e superarla è una bella impresa, almeno senza rompersi qualche pezzo.

Con qualche scivolone, ne usciamo indenni, e superato il momento critico, ci addentriamo nuovamente nel bosco. 

Proprio qui, cominciammo a chiederci dove sono i lupi, visto che alcune voci danno avvistamenti di alcuni esemplari in Val di Susa. Solo pochi passi dopo, alzando la testa, incontriamo un grosso cane nero che ci fissa, a pochi metri da noi. A prima vista non vediamo i padroni e l’infarto è quasi assicurato; poi, da dietro la curva, arrivano due simpatici signori con cui, come se niente fosse, scambiamo due chiacchiere -qualche piccolo insulto, in segreto, se lo sono preso!

indicazioni e zaini per il Bivacco Sigot

Proseguiamo, la strada è lunga e il dislivello significativo, ma la pendenza non è mai troppa, e dopo aver riequilibrato i pesi negli zaini -questi uomini che cercano sempre di lasciarci tutto il peso!- proseguiamo con calma verso il vallone che, ad intuito, ci condurrà direttamente al bivacco Sigot, presumibilmente. Già, non ne siamo sicuri, stiamo seguendo le indicazioni a terra e qualche informazione letta su internet prima di partire, ma nessuno di noi è mai stato in queste zone. All’avventura, come al solito, ci piace così!

“Un paese di pianura per quanto sia bello, non lo fu mai ai miei occhi. Ho bisogno di torrenti, di rocce, di pini selvatici, di boschi neri, di montagne, di cammini dirupati ardui da salire e da discendere, di precipizi d’intorno che mi infondano molta paura” –

Jean-Jacques Rosseau

Camminando, superiamo presto la linea degli alberi, che diventano sempre più radi per cedere il posto a rocce e pascoli colorati. Nonostante l’aver superato più costoni, non abbiamo ancora incontrato il sole, rimanendo sempre all’ombra di un picco o una vallata. Per nostra fortuna, nonostante sia quasi inverno, è una giornata calda e non troppo umida ed il freddo, almeno per ora, non si fa sentire.

Di tanto in tanto ne approfittiamo per una pausa, solitamente lungo le sponde di uno dei tanti ruscelli che incontriamo -ci è andata bene, l’acqua c’è, almeno per ora- e dandoci un’occhiata in giro possiamo vedere l’autunno che avanza; sebbene a fondo valle predomini il verde, man mano che si sale è il giallo e l’arancio, il rosso addirittura in alcuni punti, il colore principale.

Paesaggi sulla strada per il Bivacco Sigot

Quando arriviamo al bivio ed all’indicazione che mancano solo, si fa per dire, gli ultimi 300 metri di dislivello, il tramonto è già agli sgoccioli ed il buio incalza alle nostre spalle, regalandoci meravigliose sfumature dal rosa al viola proprio di fronte a noi!

Secondo le indicazioni, mancano 50 minuti di strada, e contando il tempo previsto alla partenza e quanto ci abbiamo messo per arrivare fin qui, dovremmo mettercene decisamente meno. Riempiamo le borracce per l’ultimo tratto, perchè davanti a noi vediamo solo più un alto costone tutto rocce ed il fiume sembra arrivare da un’altra parte.

Zaino in spalla, ci mettiamo in marcia. La pendenza comincia a crescere sempre più e la luce sparisce ad ogni passo, ma sappiamo che in cima ai tornanti, da qualche parte, c’è il bivacco Sigot.

Il gruppetto si separa un po’: c’è chi ha fretta e le gambe buone che parte veloce per la cima e ci urla i suoi progressi, chi segue senza guardare in alto, faticando, e gli ultimi due che, tornante dopo tornante, si avvicinano alla meta. Lo zaino, a questo punto, è davvero pesante, ed i 50 minuti preventivati non sembrano assolutamente sufficienti.

Arrivati quasi alla fine, dalla cima, sentiamo gridare -ormai non si vede più se non a un metro dal proprio naso- che il bivacco c’è e che manca poco. E’ una gran soddisfazione, ma la pendenza aumenta sempre più ad ogni tornante e non vedere la propria meta è poco incoraggiante.

Poi, senza preavviso, dopo un ultimo passo che porta quasi al pianoro in cima, un quadratino di luce si staglia nel buio: è la finestrella del bivacco, illuminata da chi ci è già steso dentro! E l’altra sorpresa è proprio quella, c’è l’elettricità! E’ fantastico, gli ultimi metri sono praticamente uno scatto verso il liberarsi dello zaino ed entrare nel calduccio -rispetto a fuori almeno- del bivacco.

In pochi minuti anche gli ultimi due ragazzi ci raggiungono, distrutti anche loro, ma soddisfatti per aver finalmente raggiunto la meta.

Bivacco Sigot, falò e spettacolo

Dopo esserci sistemati e cambiati -nonostante il freddo, si suda da morire a faticare così!- mettiamo su l’acqua, che per fortuna ci siamo portati visto che è l’unica cosa che manca, e, mentre la cena si prepara da sola –sante buste liofilizzate di riso e zuppe– noi usciamo ad accendere il fuoco ed esplorare un po’ i dintorni, alla luce delle stelle e della luna.

E’ davvero un gran bel posto, come in tutti gli altri posti così in alto -siamo a qualche metro dai 3.000- il silenzio è totale, ad eccezione per il fuoco che scoppietta -impresa non semplice, accendere un fuoco così in alto– e qualche elemento che invoca il suo cibo!

E a proposito di cibo, la cena è quanto mai particolare: si comincia con un riso e asparagi, frutto delle buste disidratate che ci siamo portati, mischiato ad uno un po’ diverso, ed il risultato è soddisfacente. Ma non basta a placare la fame da più di 1.000 metri di dislivello. Ci avanza ancora una zuppa, sempre a base di asparagi -ora, vi lascio immaginare il buon odore rimasto nel bivacco dopo aver cucinato tutta sta roba agli asparagi- e per dargli un po’ di sostanza, l’idea del secolo è aggiungerci degli spaghetti, trovati in loco. Tutto sommato l’idea non è male, l’unico dettaglio è che l’acqua è razionata, ed il tutto viene cotto in poco meno di un litro d’acqua. Il risultato è mangiabile, ma la fame è tanta e non si fanno complimenti.

Fiume di luci al Bivacco Sigot

 

«…la mia casa è quassù fra lo sconfinare delle vette e i racconti del vento…
… la mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi…
… la mia casa è quassù fra garrule acque e dolcissimi ricordi.
Qui sono io, qui è la mia casa, qui sono le mie montagne».
Antonella Fornari

Caldi, con la pancia piena, stanchi e soddisfatti, ci rinfreschiamo le idee e facciamo il punto della situazione fuori, alla luce della luna e delle città giù a valle.

E’ davvero uno spettacolo incredibile, non ci servono neanche le torce, e le foto non rendono molto bene l’idea di quanto il posto sia emozionante e spettacolare.

L’unico festeggiamento previsto per Halloween sono quattro cioccolatini, presi in prestito da casa di qualche parente, che ci spartiamo equamente prima di darci la buonanotte. Il bivacco Sigot è caldo e ci offre addirittura due letti separati, uno sopra ed uno sotto, con tanto di cuscini e coperte.

Bivacco Sigot

Domani sarà il giorno per esplorare, per vedere dove veramente siamo e, chissà, magari conquistare qualche punta oltre i 3.000 metri.

Buonanotte e buon Halloween!

I primi raggi di sole ci svegliano, dritti attraverso la finestrella ghiacciata. Non è prestissimo, per fortuna non è estate con l’alba alle sei in punto, e decidiamo di alzarci per goderci in tutto lo splendore il sorgere del sole, con i suoi colori ed i suoi riflessi.

Fuori è ancora parecchio freddo, il ghiaccio notturno ancora ricopre tutto intorno a noi, porta compresa, ma ogni secondo di più i raggi cominciano a risvegliare tutto e scaldarci.

Bivacco Sigot

L’alba è un momento mozzafiato, in nessun’altra ora del giorno è possibile ritrovare le sfumature, i colori e la tranquillità di questi momenti in cui tutto si risveglia, si scalda e si attiva per una nuova giornata. E’ anche vero che quassù, in quanto a vita, c’è veramente poco ad eccezione di noi quattro, ma vedere la città che piano piano si colora, si attiva, le montagne che si illuminano e tutto esce dall’ombra, bhè, non è facile descriverlo.

Non tutti riescono a godersi questi momenti per l’ora, anche per noi non è una cosa da tutti i giorni, e forse è anche meglio così. Vuol dire che quelle poche volte in cui riusciamo a goderci i primi raggi di sole della giornata, saranno ricordi che rimangono a lungo.

Restiamo fuori ogni secondo possibile, mentre il té si scalda sul fornelletto all’interno. Uscendo e rientrando, si sente ancora l’odore forte di asparagi all’interno: abbiamo imparato un’altra lezione, mai cucinare asparagi in un bivacco di pochi metri quadrati, a meno che poi non si pensi di tener la porta spalancata e perdere quel poco di calore che  c’è all’interno.

primi raggi caldi di sole al Bivacco Sigot

“Da quassù il mondo degli uomini altro non sembra che follia, grigiore racchiuso dentro se stesso. E pensare che lo si reputa vivo soltanto perché è caotico e rumoroso”
Walter Bonatti

Dopo aver assorbito tutta la vitamina D possibile, rientriamo per assorbire qualche caloria, di cui, vista la fatica fatta per arrivare qui ieri sera, abbiamo un gran bisogno. La colazione è classica, molto inglese: té e fette biscottate con miele e marmellata, contenuta ma sostanziosa. 

Con la calma instillata da questo posto meraviglioso, ci vestiamo e ci prepariamo per una passeggiata alla scoperta delle vette a pochi passi da noi. I nostri due amici optano, invece, per una breve scoperta degli immediati dintorni, le gambe ancora parecchio indolenzite per la salita.

Subito ci avviciniamo alla parete innevata che porta alla vetta del Truc Peyrous, ma basta un’occhiata da vicino per capire che la scalata è assolutamente impraticabile, ricoperta di neve e ghiaccio. L’unica altra strada è, ad intuito, percorrere tutta la cresta, ma il giro è abbastanza lungo e le gambe, per quanto allenate, soffrono un po’ dalla lunga salita di ieri.

Optiamo per un breve giro verso i vecchi ruderi e la punta alle nostre spalle.

Ruderi verso Punta Galambra

La pendenza è praticamente inesistente, non abbiamo neanche bisogno degli scarponcini visto che non c’è neve a terra se non in qualche sporadica conca, e quindi, comodi comodi, ci avviamo al primo dei due blocchi di ruderi. 

Scopriamo che si tratta di una sorta di avamposto militare, il cui tetto e le prime stanze sono crollate, mentre il resto è ancora più o meno intatto. Con occhio inesperto, sembra essere anche relativamente recente, chissà come mai abbandonato.

Evitiamo di entrare visto il tetto mezzo crollato e di cui non abbiamo idea quale sia la situazione, anche se la tentazione è forte -ci affacciamo giusto ad alcune delle finestre, per scoprire che dentro è pieno di piccole stanzette, sembrerebbe proprio che fossero locali militari, totalmente svuotati- e continuiamo che il sentiero, chiarissimo, verso il rudere sulla cima.

Rudere al colle di Galambra

Il secondo rudere è messo molto meglio del prima, sebbene la porta e gli infissi siano sfondati e bloccati. Doveva essere un ricovero, forse il precedente bivacco, perchè dentro non ha nulla se non una panca. Ma anche qui non riusciamo ad entrare, la porta bloccata dai detriti all’interno e le finestre chiuse.

Lo spettacolo, da questo lato, è totalmente differente: non ci sono paesini nella vallata, solo montagne, cime e vette a perdita d’occhio.

Una punta vicina, in particolare, attira la nostra attenzione. Si tratta di un costone a strapiombo sulla valle, che scopriamo chiamarsi Punta Galambra -provvidenziale cartello pochi metri prima.

Punta Galambra

 

“Continua ciò che hai cominciato e forse arriverai alla cima, o almeno arriverai in alto ad un punto che tu solo comprenderai non essere la cima”

Seneca

Da Punta Galambra la vista è indescrivibile: si può salire fino all’ultimo centimetro e, di qui, guardare sotto, lo strapiombo altissimo e poi, alzando gli occhi linee e linee di vette, innevate e non. C’è davvero da perderci ore, riuscire a riconoscere tutte le vette; di certo c’è solo lo Jafferau, la seconda al centro, leggermente sulla sinistra, con i suoi fortini in cima, e all’orizzonte, al centro, la Barre des Ecrins e più sulla destra la Meije, entrambi già ampiamente in territorio francese.

Sulla nostra destra, invece, non abbiamo proprio idea, né abbiamo una cartina abbastanza estesa per poterci capire qualcosa.

Rimarrà un mistero per questa volta, alla prossima salita ci organizzeremo meglio e scopriremo i nomi di ogni singola punta.

Gruppo al completo al Bivacco Sigot

Torniamo indietro, al bivacco, dove i nostri amici hanno già sistemato quasi tutto, ed è ora per il classico autoscatto di gruppo. Ormai la temperatura è già decisamente alta e si sta veramente bene.

Guardando giù, da dove siamo saliti, scopriamo che la vallata non vuole saperne di vedere il sole, resta quasi del tutto in ombra a qualsiasi ora del giorno, almeno in questo periodo dell’anno. Questo un po’ ci consola, anche fossimo partiti prima, ieri, non avremmo comunque goduto del calore del sole sulla faccia.

Arieggiato il bivacco Sigot, che finalmente abbandona l’odore di asparagi, rimettiamo gli zaini in spalla e siamo pronti per scendere.

di ritorno da Punta Galambra

La strada è abbastanza lunga, le tempistiche sui cartelli un tantino vaghe. Superata la ripida discesa iniziale a tornanti e raggiunto il passo pietroso al di sotto, il sentiero si fa abbastanza semplice e non troppo impegnativo, anche se i chilometri in salita di ieri e gli zaini non rendono mai facile neanche il più semplice dei sentieri.

Superiamo senza troppi problemi il tratto più brutto, quello tra le rocce, brullo, e poco dopo aver attraversato il fiume ci addentriamo nuovamente nel bosco. La luce filtra poco, i pini rigogliosi nonostante sia autunno non permettono ai raggi di raggiungere il terreno, e ci godiamo le poche radure assolate.

Arrivati quasi a fondo valle, troviamo il ruscello ghiacciato che ci aveva dato qualche problema in salita, e con un po’ di fortuna ne usciamo indenni.

Rifugio levi molinari

Infine, ritorniamo al nostro punto di partenza, il rifugio Levi Molinari, dopo aver attraversato l’ultima parte in piano del bosco che, non vedendo mai il sole, è ricoperta di una fitta brina bianca che rende il paesaggio decisamente magico.

Non eravamo ancora venuti in questa parte della Val di Susa, sebbene, almeno io, abbia passato gran parte della mia infanzia a pochi chilometri da qui, nel paese di Oulx.

Un altro magico angolo di Piemonte, a pochi passi da Torino, che non aspetta altro che essere scoperto!

AP