La nostra prima vera avventura peruviana parte da Paccahta

Questa avventura inizia in una gelida notte peruviana, nella città di Cusco, in una fredda stanza alle 4 del mattino e ci porterà intorno al fantastico Nevado Ausangate con qualche – trascurabile – imprevisto.

Con appena qualche ora di sonno alle spalle, dopo un infinito viaggio per visitare Macchu Picchu, non abbiamo nemmeno il tempo di una doccia, appena il tempo di rifare lo zaino e si riparte. Cerchiamo di recuperare qualche ora di sonno in bus, è ancora tutto buio e non si vede nulla, meglio approfittarne, almeno fino al sorgere del sole. Quando riapriamo gli occhi, finalmente un po’ riposati, il panorama è decisamente cambiato: vallate ampie e colorate delle sfumature autunnali, sullo sfondo gli alti picchi aguzzi e innevati della Cordigliera, tra tutti l’Ausangate spunta imponente con la sua cresta quasi piatta che sembra segata.

Sonnellino a oltre 4.000 metri, fiato corto e nuvole che corrono veloci

Superiamo tanti piccoli villaggi, gruppetti di bambini con le divise scolastiche corrono ovunque, e poi arriviamo all’agglomerato di case che prende il nome dall’ostello, l’Hostal Pacchanta, con le sue due pozze termali fumanti e le signore che vendono qualche snack sicuramente non molto recente e guanti, maglioni, calze e cappelli di lana tessuti a mano. L’autista ci presenta la nostra guida-cuoco-horseman, anzi, a dire il vero ce la indica in lontananza, poi risale sul bus ed eccoci immersi in queste lande selvagge, senza via d’uscita. Marcelo, dopo aver finito i suoi discorsi con gli amici, decide di venire a salutarci – noi intanto abbiamo fatto amicizia con i piccoli alpaca – e con una calma infinita, nel silenzio più assordante mai provato, ci prepara il primo pasto: una gustosa colazione a base di mate di coca, frittata, pane e burro a cui segue un altro spuntino poco dopo.

Raggiunta la prima tappa, il campo di Upis, ci aspetta una notte in quota sotto le stelle

Marcelo, dopo esser sparito per un po’, carica il cavallo – apparso dal nulla – ed arriva una signora, la moglie probabilmente, con una sorta di trottola legata ad un filo che fa un rito propiziatorio prima di lasciarci finalmente partire. Non ci vuole molto a scoprire che l’altitudine si fa sentire: siamo a circa 4.300 metri di altitudine e bastano pochi passi per capire che non sarà una rilassante passeggiata. Il fiatone più forte di sempre ci assale anche se stiamo camminando quasi al rallentatore ed appena in salita, ci serve una buona mezz’ora per adattarci e trovare un passo che non faccia esplodere i polmoni, e peggio ancora, la testa, che pulsa come dopo la peggiore delle nottate di festa!

Raggiungiamo un altipiano infinito, l’aria è fredda ma non c’è vento per fortuna, così cominciamo finalmente a goderci il panorama, gustare il silenzio assoluto se non per il rumore dei nostri passi e degli zoccoli del cavallo – Marcelo non fa rumore con i suoi sandali fatti a mano – finché non arriviamo in un punto uguale a tanti altri dove ci viene detto che è ora di descansarse. La guida si sdraia a terra, cappello sugli occhi e non dà più segni di vita, il cavallo bruca i pochi fili d’erba che crescono quassù e noi scopriamo cosa vuol dire vivere la vita con lentezza: ci sediamo a terra, sonnecchiamo e guardiamo le nuvole che in cielo scorrono velocissime, l’avventura è decisamente cominciata e la civiltà si allontana sempre più. Ripartiamo ed in breve siamo in vista di Upis, il primo campo, che a dir la verità è più affollato di quanto pensassimo.

Marcelo gusta un buon pasto nella casetta attrezzata a cucina

Marcelo smonta il cavallo e prepara subito un buon pranzetto, poi è ora per tutti di qualche ora di sonno – in effetti la camminata è stata stancante, nonostante sia stata decisamente breve. Alle 4 ci alziamo ed è ora di provare le acque termali che scorrono anche qui, raccolte in una piscina incrostata di zolfo, ma molto invitante con la sua acqua bollente. Durante il bagno conosciamo gli altri ospiti del campo: un paio di gruppi di americani che viaggiano in versione comoda, due coppie in autonomia e, i più forti di tutti, due amici in bici che arrivano dall’Argentina, davvero fortissimi!

Dopo un’oretta siamo costretti a scappare via: come il sole tramonta la temperatura crolla nel giro di pochi minuti e ci rivestiamo alla velocità della luce, prima di fiondarci in tenda e farci coccolare con un tè caldo fumante. Ci addormentiamo di nuovo e veniamo svegliati che è buio pesto – anche se sono solo le sette di sera! – da Marcelo che ci fa accomodare al caldo nella casetta abbandonata che ha utilizzato come cucina: un’ottima cena con primo e secondo, da leccarsi le dita, ed un mate di coca come dolce per conciliare il sonno. Finita la cena, senza nemmeno svestirci e sotto un cielo costellato di mille stelle brillanti, ci fiondiamo al caldo dentro i sacchi a pelo e non ci vuole molto per crollare in un sonno un po’ agitato.

Dopo un risveglio emozionante, ci avviciniamo alla nostra prima lingua di ghiaccio

E’ una notte movimentata, ci svegliamo un sacco di volte, e alla fine ci alziamo ben prima che suoni la sveglia, però abbiamo accumulato quasi 12 ore di sonno ed il mal di testa è passato quasi del tutto. Finché la tenda non viene inondata dai raggi del sole rimaniamo al caldo dentro i sacchi a pelo, tastando il ghiaccio che si è formato sulla tenda. Una volta fuori però la temperatura non è così male, anzi, si sta decisamente bene.

Cerchiamo Marcelo e scopriamo che al campo non c’è, ieri ci aveva detto qualcosa – sarebbe andato a prendere suo fratello che rientrava da una qualche spedizione, non era ben chiaro, in un misto tra spagnolo e Inca. Aspettiamo mentre gli altri cominciano a smontare i campi e mettersi in cammino e noi siamo seduti al sole. Le guide di uno degli altri gruppi ci danno qualche frittella e noi mettiamo su un tè caldo dopo aver smontato la tenda, senza possibilità di muovere tutte queste cose senza un cavallo o un asino. Cominciamo addirittura a chiedere in giro se qualcuno ci presta un cavallo, un asino, anche solo un carretto, poi pian piano il campo si svuota del tutto e rimaniamo soli.

Raggiungiamo un desertico e spoglio passo Arapa

Per fortuna non a lungo: ecco una giacca rossa che si porta dietro un cavallo, e poi un’altra figura con il suo cavallo. Con molta calma e senza alcuna preoccupazione, ecco che torna Marcelo, accompagnato da suo fratello – o almeno così ci dice – Buenas. Scopriamo con gran sorpresa che Marcelo ci abbandona qui e d’ora in avanti sarà il giovane Buenas ad accompagnarci nel nostro giro. Ad ormai metà mattinata, Buenas ci dice di cominciare ad incamminarci per il sentiero, impossibile da perdere.

Ci aspettano circa 400 metri di salita e ci incamminiamo a passo lento, avvicinandoci sempre più alle pareti di ghiaccio che si tuffano giù dalla cima dell’Ausangate. Lo spettacolo migliora sempre più ed a circa 100 metri dal Passo Arapa, senza nemmeno avere il fiatone, Buenas ci raggiunge e ci supera, per poi aspettarci al passo. Raggiunta la meta, rimaniamo a bocca aperta: colate di ghiaccio si tuffano giù dalle pendici ed una pala enorme svetta alla nostra sinistra, non riusciamo a smettere di far foto e video, finchè non arrivano gli altri gruppi e noi ce la diamo a gambe, tanto ormai è tutta discesa… o forse no!

Il massiccio dell’Ausangate è sempre più vicino a noi, con le sue colate di ghiaccio immense

Scendiamo, arriviamo al primo lago, poi al secondo, un’altro ancora ed infine eccola, la Laguna Pucacocha, proprio ai piedi del ghiacciaio che la alimenta sciogliendosi. Altri gruppi si sono accampati sulle sponde del lago, con le loro tende-cucina, e fanno una lunga pausa pranzo, noi invece continuiamo e ben presto ci ritroviamo a salire, rincorrendo un Buenas instancabile e sempre più lontano da noi, sicuro che prima o poi arriveremo. Saliamo e saliamo – sono poco più di 200 metri, ma quassù sembrano montagne infinite, e per fortuna almeno il panorama continua a migliorare man mano che giriamo intorno all’imponente Ausangate.

Stanchi e con i polmoni ridotti alla dimensione di due noccioline, finalmente arriviamo al campo per la notte, sopra alla Laguna Pucacocha in una posizione davvero favolosa.

Tenda, nuvole, stelle, ma soprattutto appuntite vette innevate!

Piantiamo la tenda e dopo un po’ arriva anche il pranzo a base di zuppa di noodles e verdure e riso, poi un bel tè caldo e ci rimane praticamente tutto il pomeriggio per esplorare, che sfruttiamo facendo una breve passeggiata appena dietro la collina, sulle sponde di un bel laghetto tondo proprio di fronte all’Ausangate con tantissimi alpaca che corrono davanti a noi.

Ne approfittiamo per sciacquarci dal sudore della giornata e fare tantissime foto, poi una brutta sorpresa: sulle vette alle nostre spalle ha cominciato a piovere e dei poco simpatici fiumiciattoli scendono proprio intorno alla nostra tenda, dobbiamo spostarla. Prima che faccia buio riusciamo a sistemarci in un posto migliore, asciutto, e dopo un’oretta di riposo Buenas ci porta la cena che, nonostante il freddo, gustiamo fuori ammirando le stelle ed il riflesso dei ghiacci dell’Ausangate. Poi, infreddoliti, ci infiliamo diretti in tenda.

Sua maestà l’Ausangate e le lagune che raccolgono le sue acque, una massa di ghiaccio stagliata nel cielo

Apriamo gli occhi ben prima che il cielo sia illuminato e non siamo proprio in forma: Atti soffre un po’ di mal di altitudine mentre io ho un gran mal di schiena. Una prima tazza di mate caldo ci aiuta a metterci in moto e cominciamo ad impacchettare tutto come ogni mattina, poi sia Buenas che le guide degli americani ci sgridano per aver mangiato fuori al freddo ieri sera, secondo loro la causa dei nostri mali – e come dargli torto, sicuramente ne sanno più di noi, e se ci dicono di mangiare e bere molto, più del solito, e mangiare in tenda…lo faremo!

Ce la prendiamo comoda aspettando che sorga il sole, che illumini il ghiacciaio e che poi, con una lentezza incredibile, arrivi finalmente a noi. Fa un freddo cane, talmente freddo che mi si gela l’acqua nella borraccia nel tempo di lavarmi i denti, così la mezza idea di sciacquare calze e mutande è immediatamente rimandata a momenti più caldi. La colazione la gustiamo in tenda, come da prescrizione, e ci forziamo di mangiarla tutta, nonostante lo stomaco protesti ad ogni cucchiaiata di riso, poi è davvero ora di andare.

E finalmente raggiungiamo i 5.000 metri, dopo tre giorni eccoci al Passo Warmisaya

Ci accodiamo a dei cordialissimi americani che non dicono mezza parola ed a piccoli passi, sempre costanti, pian piano li superiamo, direzione Passo Ausangate a 4.910 metri. Lo spettacolo alle nostre spalle, del ghiacciaio immenso che cambia colore man mano che il sole si alza nel cielo, ci toglie qualsiasi fatica, mai come gli ometti di vetta che riusciamo a scorgere in quei pochi metri dove il sentiero spiana ed un minimo di ossigeno fluisce di nuovo al cervello!

Manca poco, un’ultimo sforzo a passo di lumaca ed eccoci finalmente in cima…uno spettacolo incredibile. Da un lato ecco le montagne rosse e verdi, dal ferro e muschio, dall’altra invece una distesa di ghiaccio immensa: ci riempiamo gli occhi e non è mai abbastanza, se non fosse per il vento gelido che dopo breve ci obbliga a proseguire, in discesa verso il villaggio dove mangeremo il nostro pranzo.

La foto di rito con il buon Buenas, dopo aver raggiunto i 5.000 metri, non poteva certo mancare!

Ci sembra di scendere molto, troppo, però è solo un’impressione, mentre la conca riparata dal vento con Buenas che ci cucina un pranzetto sotto i caldi raggi del sole non lo è. Dopo un’oretta di relax è ora di mangiare una bella pasta e subito dopo ci rimettiamo in marcia, questa volta diretti ad un altro passo oltre i 4.900 metri, il Passo Warmisaya, che raggiungiamo con la collaudata tecnica di piccoli passi costanti verso la cima.

Dopo un’infinità di stretti tornanti, eccoci in cima: il cartello segnala 4.985 metri, il GPS addirittura 4.995, e le roccette di fianco a noi ci fanno raggiungere, finalmente, una grandissima soddisfazione, siamo a 5.000 metri! Fa freddissimo, il vento è gelido e tira forte diretto dal ghiacciaio, il fiato è corto come dopo una maratona e la sensazione è di avere i polmoni e lo stomaco grandi come noccioline. Di fronte a noi i ghiacciai immensi e immacolati nel loro bianco candido, più in basso la laguna turchese da dove arriviamo e alle nostre spalle le montagne colorate di rosso, verde e tutte le sfumature dell’arancio, grigio e marrone, semplicemente assurdo!

Tanta fatica ci porta finalmente all’ultimo campo di questa avventura, domani sarà ora delle Montagne Colorate

Ci prendiamo il tempo che ci serve e facciamo anche qualche foto insieme a Buenas, come ricordo di questa grande avventura, poi si scende per concludere finalmente questa lunga giornata ed accamparci per il meritato riposo. In una ventina di minuti siamo al campo e montiamo subito la tenda, domattina la sveglia suonerà molto presto e abbiamo davvero bisogno di dormire, ma non prima di una bella cenetta al caldo dentro la nostra tendina, servita da Buenas che ci coccola con una zuppetta calda di verdure ed un riso con l’immancabile cetriolo e pomodoro.

Fuori tira un vento gelido ed addirittura la nostra guida mette sciarpa e gonnellone di lana, andar fuori a fare la pipì non è certo un momento piacevole, però si rimane talmente affascinati dal cielo terso e completamente stellato, così diverso dal nostro, che il freddo passa in secondo piano, almeno per qualche minuto. Tutti a nanna, domani la giornata comincia presto e dobbiamo essere riposati.

In cammino verso l’ultima tappa di questa avventura, che fatica e che freddo!

Dopo una notte agitata e molto, molto fredda, siamo svegli prima che suoni la sveglia. Buenas arriva con un bel mate di coca caldo fumante e la solita colazione con uova e riso, solo che ho davvero freddo e il mio orologio biologico dice che dovrei dormire, due bocconi e ho una bella nausea, non riuscendo più a buttar giù nulla  e lo stomaco è sottosopra. Rintanati in tenda, impacchettiamo tutto per l’ultima volta durante questa avventura, partendo dall’interno, mentre il cielo di schiarisce e finito l’interno, si passa alla tenda, dura di ghiaccio.

Ci mettiamo in cammino verso la Montagna Winikunka, più conosciuta come la Montagna dei 7 colori. La temperatura non accenna a salire ed i raggi di sole sono ancora ben lontani; Buenas, forse per scaldarsi, aumenta il passo e fatichiamo a stargli dietro e finalmente, dopo un avvallamento con un bel laghetto, raggiungiamo il sole, la giornata finalmente comincia a migliorare. Ancora una salita, poi un infinito traverso in falso piano che ci spezza le gambe ed eccoci, siamo arrivati: siamo arrivati di nuovo a 5.000 metri, ma non abbiamo finito di faticare, mancano ancora una ventina di metri di dislivello per raggiungere il belvedere. Ci facciamo forza e cominciamo a salire a passi lenti, siamo tutti e due molto infreddoliti e lo stomaco è a pezzi, ogni passo una fatica e dopo una decina di minuti eccoci in cima, a ben 5.036 metri, con una fantastica vista sulla Montagna Colorata e siamo appena una manciata di persone. Sul lato in ombra, una lunga strada porta al parcheggio e cominciamo ad intravedere una fila infinita di persone che pian piano raggiunge il colle, davvero un brutto spettacolo, troppo pieno di turisti, per fortuna siamo riusciti a godercelo quasi in solitudine.

Avventura finita alle Montagne Vinikunka, con i loro colori fantastici e senza folla!

Facciamo qualche foto di rito, poi scopriamo che Buenas non può portare il cavallo giù al parcheggio, solo quelli che portano su i turisti sono ammessi sulla strada che porta al colle. Così si carica tutto quello che è a cavallo nella sua bisaccia a spalle, e con chissà quanto peso addosso cominciamo ad incamminarci verso il parcheggio.

Man mano che scendiamo finalmente cominciamo a scaldarci e il fiume di gente che sale ci guarda stranito: noi siamo vestiti da spedizione invernale, loro in maniche corte per la fatica. Arriviamo finalmente al parcheggio ed il freddo è finalmente solo un ricordo, siamo sudati fradici e non vediamo l’ora di salire sulla macchina che ci riporterà a Cusco, peccato che la macchina non c’è, Buenas non sa dirci nulla a riguardo e il cellulare non ha campo. Dopo aver steso la tenda al sole ad asciugarsi, aver fatto un giro importunando chiunque avesse una macchina rossa al parcheggio, riusciamo a trovare un punto dove il telefono di uno dei tanti autisti prende, arrampicati sulla montagna, e chiamiamo l’agenzia, che ci dice che qualcuno sta arrivando a prenderci. Passano un paio d’ore e quando ormai cominciamo ad essere molto preoccupati, ecco il nostro taxi rosso che arriva a prenderci e ci porta prima a mangiare e poi, finalmente, di nuovo a Cusco, dove questa prima fantastica avventura in alta quota finisce, ed è già ora di prendere un nuovo aereo per ripartire!

AP